venerdì 27 luglio 2012

Il racconto breve della donna che mesceva il latte (Estratto)

Dalla mia raccolta di racconti paesologici:
Le stagioni della lattaia - Il racconto breve della donna che mesceva il latte con altre sette piccole storie,
metto qui un breve estratto.







"....La donna che mesceva il latte - così avevo preso a definirla nell’intimità dei miei pensieri - era, come sempre, indaffarata. Vuotava, riempiva, spolverava, puliva, lavava, sciacquava, risciacquava, asciugava, riponeva, sistemava. Come fosse incapace d’aspettare i suoi pochi avventori, per fare qualcosa di veramente utile, standosene semplicemente seduta a braccia conserte. E come ogni giorno sempre verso quell’ora, era applicata a filtrare il suo prezioso liquido - per ricavarne le consuete porzioni. Ella sola sapeva quanto latte avrebbe chiesto ognuno dei suoi clienti. Così, invece di dosarlo davanti a loro, preferiva avvantaggiarsi nel lavoro. Non avevo mai visto la donna consultare appunti o carte scritte, quindi, da quest’unico ma determinante dettaglio, posso ora dedurre che conservasse ben chiari nella testa i nomi di tutti i suoi clienti e che avesse mandato a mente l’esatto fabbisogno giornaliero della famiglia di ognuno di essi. Così la vedevo attingere il latte col mestolo, direttamente dal secchio traboccante che teneva rialzato da terra su un panchetti no di legno a tre gambe, per versarne, poi, un’esatta quantità nelle misure di stagno di volumi diversi disposte in bell’ordine sul tavolo - saggiamente, ma anche inutilmente, aveva badato a rivestirne lo sconnesso ripiano di legno con una tovaglia di tela cerata. Il suo lavoro, che per il resto appariva agile e spedito, era curiosamente rallentato proprio dal latte. Che sembrava ostinato a non voler cadere direttamente nelle misure e nei contenitori, ma vi colava lentamente, dovendo filtrare attraverso le fittissime trame di uno strofinaccio di canapone quadrettato - un passino improvvisato - che lei usava, opportunamente, per liberare il latte da eventuali impurità. Solo dopo aver effettuato quell’operazione certosina la donna riversava - ora più speditamente - la precisa quantità di latte richiesta nei secchielli di stagno o nelle bottiglie di vetro. Recapitati in precedenza, vuoti e ripuliti, dai suoi clienti, oltre che avere forma diversa, i recipienti differivano anche nel materiale e nei colori. Mentre la donna che mesceva il latte attendeva al suo lavoro, gli ultimi raggi di sole prima del tramonto, fattisi ormai tiepidi, penetravano nella stanza. E, irrompendo, quasi di forza, dalla finestra, trapassavano da sinistra la scena che vi si svolgeva. Nel cucinino della lattaia, ancora prima che fuori, anche quell’altra lunga giornata estiva morente stava cedendo il suo posto al crepuscolo – pigramente, quasi con riluttanza. Gli ultimi bagliori dorati del sole, che all’esterno disponeva perché il riverbero d’ogni suo singolo raggio andasse ad incendiare un tetto del paese, circonfusi nell’angusto locale, contribuivano a creare un’incantevole atmosfera rarefatta - uno sbalorditivo drammatico effetto di luci e ombre. Un’aura irreale, quasi metafisica, avvolgeva l’ambiente e tutto ciò che, animato o inanimato, vi si trovava al momento. Era come perdere gli occhi in uno spettacolare caleidoscopio; come mirare nella stessa camera oscura del pittore#.

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