venerdì 8 giugno 2012

APPUNTI SPARSI DOPO LA VISIONE DEL FILM: IL SETTIMO SIGILLO.


....”E allorchè l'Agnello aprì il settimo sigillo si fece un gran silenzio in cielo per circa mezz'ora!”

In compagnia di Jons, uno scettico e disilluso e pragmatico scudiero (the squire), (Gunnar Björnstrand), il cavaliere Antonius Block (Max von Sidow) ha consumato in guerra quasi tutta la sua fede in Dio.
Stanco e sfiduciato e infastidito dalla vita, credente ma assalito e tormentato e roso dal dubbio, torna dalle Crociate in Terra Santa.
Si ritrova in un paese (la Danimarca, tra Roskilde e Illerod) dove imperversano il disordine, la peste e il fanatismo religioso.
Su una spiaggia sassosa e inospitale, dove ha passato la notte, sotto un cielo grigio e vicino a un mare minaccioso, le si manifesta la Morte (Bengt Ekerot) che lo segue ormai da molto tempo.
E' arrivata per portarlo via con se.
Block le dice di non essere pronto:
"Il mio spirito lo è, ma non il mio corpo. Dammi ancora del tempo”.
E, proprio per prendere tempo, la sfida ad intraprendere una partita a scacchi contro di lui.
Nel prosieguo del film, una famiglia di saltimbanchi, incrociata sulla via di casa, gli fa assaporare, forse per l'ultima volta, un pizzico di fiducia nella vita.
Ma, questa inaspettata serenità, lo indurrà anche a porsi ulteriori domande su Dio, sulla religione, sulla vita e sulla morte.
Antonius Block si trattiene addirittura, durante la partita a scacchi itinerante più incredibile della storia del cinema, in una lunga serie di incontri-scontri dialogici con la stessa Morte.

Il film, sicuramente uno dei migliori, dei più profondi e ricchi di simbolismi, di Ingmar Bergman, è, in definitiva, un'allegoria tipicamente scandinava sulla vita dell'uomo, passata quasi interrottamente alla spasmodica ricerca di Dio, ma che ha, come unica definitiva certezza, solo la morte.
Come era solito che accadesse negli spettacoli medievali (un esempio viene fedelmente ricostuito e riproposto dal regista, nel corso del film, proprio attraverso lo spettacolo della famiglia di attori composta da Jof-Niels Poppe, Mia-Bibi Anderson e dall'altro attore anziano), il tragico convive con il comico.

Il film esprime in modo assai lineare tutte le problematiche esistenziali dell'uomo.
Il cavaliere Antonius Block, attraversa idealmente ma anche fisicamente tutte le possibili tragedie umane:
la guerra; le pestilenze; il giustizialismo; l'adulterio; il ladrocinio; le sopraffazioni; la violenza sessuale; la superstizione; il fanatismo religioso; et alia.
E sembra riscattarle tutte con un unico escamotage: provocando un diversivo (fa cadere alcuni pezzi degli scacchi con un maldestro movimento del suo mantello) il cavaliere distrae la Morte e salva la famiglia dei saltimbanchi, permettendo loro di allontanarsi alla sua vista.

La famiglia: un'oasi felice in un mondo crudele.

Molto importante una delle scene iniziali che vede protagonista l'intera famiglia di attori, composta dal saltimbanco Jof, sua moglie Mia (una sfolgorante esordiente Bibi Anderson) il suo figlioletto e l'amico capo-comico.
Mentre parla al suo cavallo, Jof ha una visione celestiale: la Madonna regge per mano il bambino, accompagnandolo mentre muove i suoi primi passi sul prato.
Jof sveglia la moglie Mia che lo esorta a non abbandonarsi alle solite fantasticherie.
Si sveglia anche l'attore che vive e lavora con loro.
Si sveglia anche il figlioletto, per il quale il padre prevede un avvenire luminoso.
Mia ribadisce il suo amore per il marito Jof.
E' una famiglia povera e semplice, ma felice.
E non a caso sfugge alla Morte.

“La fede è una pena così dolorosa! È come amare qualcuno che è lì fuori al buio e che non si mostra mai per quanto lo si invochi”. (Antonius Block rivolto a Mia)


I dialoghi di Antonius Block con la Morte.

Ma al centro del film, basato su una sceneggiatura dal formidabile impatto, ci sono come una pietra d'angolo, indiscutibilmente, i dialoghi tra Antonius Block (Max von Sidow) e la Morte (Bengt Ekerot).

"Ed io, Antonius Block, sto giocando a scacchi con la morte.”

Il cavaliere Antonius Block rivolto alla Morte:
"Voglio parlarti il più sinceramente possibile, ma il mio cuore è vuoto. Il vuoto è uno specchio che mi guarda. Vi vedo riflessa la mia immagine e provo disgusto e paura. Per la mia indifferenza verso il prossimo, mi sono isolato dalla compagnia umana. Ora vivo in un mondo di fantasmi, rinchiuso nei miei sogni e nelle mie fantasie."

La Morte al Cavaliere Antonius Block:
"Perché non la smetti di fare domande?”
“No, non la smetterò.”
“Tanto, nessuno ti risponde.”

La Morte:
"Non credi che sarebbe meglio morire?”
Il Cavaliere
L'ignoto mi atterisce. ma perchè, perchè non è possibile cogliere Dio con i propri sensi, per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate e incomprensibili miracoli? Perchè dovrei avere fede nella fede degli altri? Perchè non posso uccidere Dio in me stesso? Perchè continua a viver in me seppure in modo vergognoso e umiliante, anche se io lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perchè nonostante tutto egli continua ad essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Vorrei sapere senza fede, senza ipotesi. Voglio la certezza. Voglio che Dio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto. Voglio che mi parli".
”Il suo silenzio non ti parla?” incalza la Morte.
La replica di Antonius Block:
"Lo chiamo e lo invoco e se egli non risponde penso che non esiste: allora la mia vita non è che un vuoto senza fine: Nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo nel nulla, senza speranza”.

E, ancora, il cavaliere Antonius Block, pensando di confessarsi in chiesa, davanti a un monaco confessore, che poi si scoprirà essere la Morte stessa:
"Vorrei confessarmi ma non ne sono capace perchè il mio cuore è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura, indifferenza verso il prossimo, verso i miei irriconoscibili simili”.

Al termine del film, in una delle ultime drammatiche scene, prima dell'allegro carosello finale, siamo nel castello del cavaliere Antonius Block.
Assieme a lui, in ordine sparso alle sue spalle, ci sono tutti i superstiti.
La moglie Karin; Plog, il fabbro; Lisa, la moglie di Plog; Jons, lo scudiero.
Accolgono tutti insieme, alcuni consapevoli altri no, la Morte che li ha, finalmente, raggiunti.
Il cavaliere è pronto, accoglie la Morte con una preghiera, accorata, drammatica:
"Dall'oscutità che tutti ci attornia mi rivolgo a te, signore Iddio. Abbi misericordia di noi che siamo inetti e sgomenti e ignari....Dio, tu che in qualche luogo esisti, che devi certamente esistere, abbi misericordia di noi”.

La figura di Antonius Block è, come al solito, in quasi tutti i film di Bergman autobiografica.
Quando Antonius incontra una ragazza che viene portata al rogo perchè accusata di stregoneria le chiede con curiosità e, nutrendo accorate aspettative di risposte esaustive, se davvero è stata col diavolo, e aggiunge:
"Voglio incontrarlo anch'io, voglio domandargli di Dio”.


Pittura su legno” (Il dramma giovanile).

Ma da dove nasce l'idea, il soggetto originale, di questo film tanto singolare, ambientato nell'epoca mediavale, così cara a Bergman? Lo stesso Bergman parla della nascita de “Il settimo sigillo”.
Anzi, parla della nascita di un piccolo dramma precedente,“Pittura su legno”, scritto in pochi pomeriggi, in un atto unico della durata di una cinquantina di minuti, preparato nel 1954, per la Scuola d'Arte Drammatica di Malmo, presso la quale insegnava.
Un paio d'anni dopo ascoltando i “Carmina Burana” di Orff, ebbe l'idea di trasformare il dramma "Pittura su legno” in un film e di scrivere, quindi, “Il settimo sigillo”.
Il produttore, sulle prime, non volle saperne.
Si convinse a finanziarlo solo dopo il successo di “Sorrisi di una notte d'estate” al Festival di Cannes.
Ma accettò, comunque con riserva, raccomandandosi col regista di far durare le riprese non più di un mese.
(Certe volte anche i grandissimi devono sottostare a un padrone che gli è inferiore).
Lo stesso Bergman, nel suo libro "Immagini", a proposito della presunta stretta connessione tra il dramma e il successivo film, scrisse:
"Pensai di basarmi su "Pittura su legno". Ma alla fine "Pittura su legno" servì a poco. "Il Settimo sigillo" prese un'altra direzione e divenne una specie di road movie capace di muoversi senza imbarazzo attraverso tempo e spazio. Fa i suoi giri e ne è responsabile."
Molto interessante per penetrare nell'ambientazione livida dei secoli bui del medio-evo, ed anche per la esatta comprensione delle tematiche del film, è quanto lo stesso Ingmar Bergman racconta intorno alla ispirazione del suo lavoro, avuta fin da bambino e coltivata fino alle realizzazione, avvenuta ca. 35 anni dopo.
"Qualche volta, da bambino, mi fu permesso di accompagnare mio padre al lavoro. Predicava nelle piccole chiese dei paesi intorno a Stoccolma.
Erano viaggi festosi e festivi, fatti in bicicletta attraverso un panorama primaverile.
Mio padre mi insegnava i nomi di fiori, degli alberi e degli uccelli.
Passavo il giorno senza essere disturbato dal mondo intorno a me.
Per un piccolo il sermone è soltanto una questione da adulti.
Mentre mio Padre predicava dal pulpito e la congregazione pregava e cantava anch'essa, io dedicavo, invece, il mio interesse al mondo misterioso della chiesa fatta di archi bassi e muri spessi.
Ero rapito dall'eternità.
La luce del sole colorata vibrava sopra i dipinti medievali e le figure intagliate su muri e soffitti.
C'era tutto quello che una fervida immaginazione poteva desiderare: angeli, santi, dragoni, profeti, diavoli, creature umane.
C'erano animali che incutevano molto paura: serpenti in Paradiso, l'asino di Balaam, la balena di Jonah, l'aquila della Rivelazione.
Tutto circondato da un panorama paradisiaco, insieme terreno e sotterraneo, fatto di un strano miscuglio eppure dalla familiare bellezza.
Su uno scranno sedeva la Morte,che giocava agli scacchi con un Crociato.
La stessa Morte che afferrava il ramo di un albero, dov'era seduto un uomo nudo con occhi sbarrati.
Ancora, attraverso dolci colline la Morte conduceva il ballo finale verso le terre che ci sono oscure.
In un altro arco la Vergine Santa entrava in un giardino rosa, sostenendo i passi esitanti del Bambino e le sue mani erano quelle della donna di un contadino.
La sua faccia era grave e gli uccelli starnazzavano intorno allla sua testa.
I pittori medievali avevano ritratto tutto questo con grande tenerezza, abilità e gioia.
Tutto questo mi aveva trasportato in un modo spontaneo ed allettante, e quel mondo divenne davvero come il mondo di ogni giorno con mio Padre, mia Madre e fratelli e sorelle.
D'altra parte mi difendevo contro il dramma ritratto sul crocifisso nel coro e nel presbiterio.
La mia mente fu sopraffatta dalla crudeltà e dalla sofferenza estrema di quella scena.
Fino a quando molto più tardi fede e dubbio sono diventati i miei compagni di viaggio.
Era ovvio che finissi per dare forma alle esperienze della mia infanzia.
Vi sono stato, quasi, costretto, per esprimere il dilemma universale.
La mia intenzione è sempre stata “dipingere” nello stesso modo del pittore di quella chiesa medievale, con lo stesso interesse obiettivo, con la stessa tenerezza e gioia.
La risata degli esseri umani, il loro pianto, l'ululato della paura, i giochi, la sofferenza, il loro terrore della piaga, del giorno del Giudizio universale, della stella il cui nome è Assenzio.
La nostra paura può essere di generi diversi, ma le parole per descriverla sono sempre le stesse.
....e i nostri quesiti universali permangono. La nostra domanda rimane”.

A suggellare la scarsa stima che Ingmar Bergman non fa mistero di nutrire nei confronti della variegata categoria dei ministri di culto la curiosa e, quasi, imbarazzante presenza di un personaggio oscuro e bieco e dalla moralità discutibile: il monaco predicatore cleptomane interpretato da un bravissimo caraterista, Anders Ek, che riesce a rendersi davvero detestabile.
E chissà quanto abbiano potuto influire sulla creazione di questa figura, non del tutto marginale nell'economia del film, i problematici (per usare un puro eufemismo) rapporti che Bergman ha sempre intrattenuto col padre.
Pastore protestante luterano della corte reale e quindi anch'egli ministro bella fede.
Una curiosità: il regista, ritenedo di non dover continuare ipocritamente ad onorare il padre, si rifiutava con decisione, anzi ostinatamente, di continuare ad intrattenere rapporti con lui.
Al punto che la madre, dopo una burrascosa ed inutile telefonata, in un freddo giorno dell'inverno del 1965, nel bel mezzo di una vera bufera di neve, si spinse a piedi fino al teatro del quale era direttore e, dopo averlo schiaffeggiato sonoramente, si fece promettere solennemente che sarebbe andato a trovarlo in ospedale, dove era stato ricoverato per essere operato di cancro all'esofago.
Bergman mantenne la promessa, ma si recò a trovare il padre solo dopo la morte della madre, avvenuta circa una settimana dopo il colloquio, lo schiaffeggiamento e il te.
Naturalmente informò il padre dell'accaduto e andò via.
"Mi guardava fisso. Gli occhi erano chiari, calmi, spalancati. Quando raccontai quello che sapevo si limitò ad annuire e mi pregò di lasciarlo solo”
(da “Lanterna magica, autobiografia).

Conclusioni

Non privo di alcune piccole smagliature, il film, non zoppica mai, ma elabora il suo tema con desiderio e passione, sviluppa la sua trama, sempre avvincente e mai scontata.
A distanza di più di mezzo secolo mantiene intatta tutta la sua forza visiva ed espressiva ed è ancora capace di calamitare l'attenzione degli spettatori: nuovi o vecchi che siano.

È una delle ultime espressioni di fede, delle idee che avevo ereditato da mio padre e che portavo con me fin dall'infanzia”. (I. Bergman).

Anche perciò, forse (“Il settimo sigillo”, ndr) “attraversò il mondo come un incendio”.

Tre pareri, scelti a caso.

"Questo è il miglior film mai fatto, sia esso svedese o americano":dev'essere vero, se l'IMDb così”.
(Tom Charity, critico di “Cinemascope4”)

Woody Allen dice: “........è il film definitivo avente per soggetto la Morte."
(Per inciso, lo stesso Allen accredita Ingmar Bergman come il più grande Genio della storia del cinema mondiale).

Ed anche lo stesso Ingmar Bergman ammise, pur controvoglia:
"Questo è uno dei pochi film vicino al mio cuore... Io lo trovo anche, forte, e vitale."

DUE CURIOSITA'

1) La scena finale con la Morte che danza allontanandosi con i viandanti, fu girata negli atri del Cortile Reale. Dopo che avevamo già impacchettato ogni cosa per la sera, cominciò il maltempo. All'improvviso vidi una nube strana. Gunnar Fischer (il direttore della fotografia, ndr) tirò su la cinepresa. Molti degli attori erano già tornati nei propri allogi. Alcuni inservienti e turisti danzavano ai loro posti, senza avere idea di cosa si trattasse. Quell'immagine, divenuta poi così famosa fu improvvisata in pochi minuti".
2) La scena del Cavaliere Antonius Block che incontra la Morte per la prima volta fu girata a Hovs Hallar, nella regione della Scania, al sud della Svezia.

Resta solo da chiedersi, cari amici bergmaniani, se Ingmar Bergman, volato in paradiso nel 2007, abbia finalmente, avuta l'occasione di incontrare Dio e di rispondere al suo "dilemma universale" o, invece, ancora conserva, sospesi in se, e stavolta per l'eternità, tutti i suoi quesiti e i suoi dubbi ontologici.

Salvatore M.Ruggiero



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